La secolare arte della lavorazione delle carni suine, nella zona del nursino, era già famosa al tempo dei romani. Sembra infatti che Vespasiano possedesse in queste aree numerosi terreni e che avesse affidato la custodia dei suoi preziosi maiali ad ebrei deportati dalla lontana Gerusalemme confidando nella loro proibizione a consumare la carne di porco. Inoltre le particolari caratteristiche climatiche della zona, sommate alla morfologia di un territorio particolarmente antico, hanno sin da sempre favorito la stagionatura di insaccati derivati dalla conservazione della carne di maiale.
La rinomata abilità umbra nella lavorazione del maiale, in seguito battezzata “norcineria”, oggi ha naturalmente nella zona di Norcia come suggerisce il nome, la sua sede più antica. Infatti quella che storicamente nacque come una necessaria specializzazione considerata la povertà dell’agricoltura e l’inattività dei rigidi mesi invernali, oggi è divenuta una vera e propria vocazione che, tramandatasi di padre in figlio, rappresenta un notevole fonte di ricchezza per la comunità della Valnerina.
La produzione del prosciutto, così come quella afferente gli altri insaccati, affonda le sue radici nell’antica Urbe i cui celebri abitanti già distinguevano il prosciutto di spalla dal prosciutto di coscia. Dopo essersi tramandata per secoli, la tecnica afferente la lavorazione della carne suina è oggi riconosciuta come patrimonio della Regione Umbria ed in particolare dell’area circoscritta dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ma come viene prodotto il celebre prosciutto di Norcia e, soprattutto, come riconoscerlo? Due domande a cui tenteremo di rispondere nelle prossime righe.
Il celebre salume, dopo un’attenta lavorazione disciplinata dall’Unione Europea che gli ha conferito l’Indicazione Geografica Protetta, è caratterizzato dall’inconfondibile forma “a pera”, che lo distingue dalle numerose riproduzioni svendute dai banchi della grande distribuzione. Il coscio del maiale adulto, dopo essere stato rifilato, viene salato in due tempi con sale marino di grana media e pepe. Trascorso un periodo di 20-25 giorni, viene messo in acqua calda e lavorato per poi essere rivestito superficialmente di sugna.
In un secondo momento viene lasciato stagionare, per un periodo non inferiore ai 12 mesi, in luoghi freschi ed umidi ad un’altitudine non inferiore ai 500 metri. Il prosciutto di Norcia IGP, prima di essere immesso sul mercato, deve riportare l’apposito contrassegno, marchiato a fuoco, che ne identifica provenienza e lavorazione.
Le proteine contenuti nel prosciutto IGP di Norcia sono di elevata qualità e si rivelano particolarmente ricche di amminoacidi essenziali, dunque caratterizzate da un alto valore nutrizionale. Durante la stagionatura gli enzimi, largamente presenti nella parte magra del salume, determinano un importante processo di predigestione proteica: le proteine vengono progressivamente assimilate dall’organismo che isola i singoli amminoacidi facilitando la digestione. Il prosciutto IGP di Norcia, inoltre, vanta buon contenuto di ferro, fosforo, potassio e zinco agevolmente assimilabili.
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